Oggi ci rivolgiamo a tutti i ragazzi e le ragazze che vorrebbero entrare nel mondo delle professioni sanitarie e, in particolare, a coloro che ambiscono a ricoprire il ruolo di infermiere. Sappiamo bene che, per raggiungere tale obiettivo, è necessario affrontare diversi ostacoli, a partire dal test preliminare per accedere al corso di laurea in Scienze Infermieristiche, fino al conseguimento del titolo e dell’abilitazione.

Ma cosa succede una volta terminato il percorso di studi?

Giunti a questo punto, infatti, spesso ci si trova davanti ad un bivio: conviene davvero cercare un impiego stabile in ospedale (o all’interno di una clinica privata)? Oppure è consigliabile imboccare la via della libera professione, con tutto ciò che ne consegue? Scopriamo di più.

Infermieri e libera professione: pro e contro

Lavorare in proprio, a prescindere da quale sia il settore di appartenenza, offre certamente dei vantaggi.

Il professionista gode di una maggiore libertà rispetto ai dipendenti pubblici e privati, può scegliere un orario comodo e adattare la “tabella di marcia” alle esigenze personali e a quelle del nucleo familiare.

Di contro, però, deve essere pronto ad aprire e gestire una Partita IVA, a pagare le tasse e a provvedere da sé al versamento dei contributi.

La vita da freelancer, infatti, comporta una certa dose di rischio!

Partita IVA da infermiere: apertura e costi

Veniamo al dunque: come si apre una Partita IVA da infermiere? Quali spese bisogna preventivare sia agli inizi, sia sul medio-lungo termine?

L’attivazione della Partita IVA, per gli infermieri (e, in generale, per tutti i liberi professionisti), non costa nulla. Da qualche anno, inoltre, non occorre più recarsi presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, ma è sufficiente collegarsi al portale e completare online la procedura.

I tempi richiesti sono piuttosto brevi: nel giro di 24 ore è possibile ottenere una nuova Partita IVA ed emettere le prime fatture.

Tasse e contributi: quanto paga un infermiere?

Per chi non lo sapesse, esiste un regime fiscale agevolato – riservato ai professionisti (tra i quali troviamo, appunto, l’infermiere) e alle piccole imprese – che permette di abbattere le tasse in maniera significativa.

Ci riferiamo al regime forfettario, che prevede l’applicazione di una sola imposta (sostitutiva di Irpef, addizionali ecc.) con aliquota fissa al 15% o, in particolari casi, ridotta al 5% per i primi cinque anni

L’imposta, comunque, non si calcola sulla totalità degli incassi, ma solo su una “porzione”. Nel caso dell’infermiere libero professionista, la parte imponibile corrisponde al 78% (meno i contributi versati nello stesso anno), mentre le spese deducibili equivalgono al restante 22%.

I contributi previdenziali, invece, si calcolano diversamente a seconda delle norme (e aliquote) stabilite dalle singole Casse o Gestioni.

L’ente di riferimento, per chi svolge la professione di infermiere, si chiama ENPAPI e prevede il versamento di tre contributi, ossia:

  1. Contributo soggettivo: pari al 16% del reddito netto professionale (ovvero al netto delle spese), con un minimo obbligatorio di 1.600 €.
  2. Contributo integrativo: pari al 4% dei corrispettivi lordi (o al 2%, se la prestazione è resa al settore pubblico), con un minimo di 150 €.
  3. Contributo di maternità (importo stabilito ogni anno da ENPAPI).

Infine, ricorda: se hai aperto la Partita IVA da infermiere da meno di quattro anni, se non hai ancora compiuto i 30 anni di età, se svolgi contestualmente un lavoro con orario part-time (pari o inferiore al 50% del tempo pieno) o se hai dovuto sospendere l’attività per almeno sei mesi consecutivi nel corso dell’anno solare, puoi usufruire di una riduzione del 50% sul contributo soggettivo minimo. Per chi volesse fare richiesta, è disponibile un’area apposita sul portale ENPAPI.