Tanti si sono preoccupati per le condizioni fisiche provocate dal coronavirus, pochi si chiedono quale siano le conseguenze psicologiche di una pandemia; fortunatamente, l’istituto nazionale americano per la sanità ha condotto uno studio anche in questo senso.

I dati, tuttavia, sono tutt’altro che rassicuranti: più della metà degli intervistati ha avuto serie ripercussioni sotto il punto di vista emotivo, un terzo ha sperimentato gravi sintomi dati dovuti all’ansia mentre il 16,5% è arrivato alla depressione. Fra le motivazioni vi sono: timore per la perdita del lavoro, motivi finanziari, carico di responsabilità fino alla limitazione della libertà personale.

Secondo i dati degli enti sanitari in Cina e Corea, il 96% dei soggetti che hanno contratto l’infezione hanno poi subito una malattia post-traumatica a causa dello stress, la quale può portare a un peggioramento delle condizioni psichiche e cognitive.

Non esiste un vaccino contro angoscia, timore e preoccupazione, né contro traumi psicologici; paura, distacco emotivo e insicurezze possono sfociare in stress o comportamenti di alterazione, fino alla perdita di lucidità nell’affrontare il problema stesso relativo alla pandemia.

È essenziale prendere delle contromisure e mobilitarsi anche in questa direzione, cercando di non sottovalutare le conseguenze date dall’isolamento e da un anno intero di restrizioni, preservando la salute mentale e psicofisica.

L’importanza dei consulti psicologici

L’approccio alla psicologia è un concetto che continua a rimanere nell’ombra, una disciplina apparentemente dedicata a persone con estese difficoltà emotive o con evidenti deficit mentali. C’è un’altissima probabilità che ogni persona nell’arco della sua vita possa subire almeno un trauma o attraversare momenti infelici e pesanti sotto il punto di vista dello stress; un supporto psicologico dovrebbe essere accessibile, immediato e saltuario come lo sono i confronti con il proprio medico di base.

Un dolore che coinvolga la sfera sentimentale di un individuo o uno stato di preoccupazione e alterazione dovrebbero essere trattati con la stessa importanza di una sofferenza fisica.

Uno studio effettuato nel 2008 ha rivelato come il 28% delle persone che riconoscessero e ammettessero di avere bisogno di un supporto psicologico si rivolgessero anche a uno specialista; il 38%, tuttavia, si recava solamente dal medico di base.

Solo di recente, a seguito di un’analisi condotta dal dottor Falanga pubblicato nel 2019 e intitolata “Copresence of a family doctor and psychologist in the management of patients with psychosocial and somatic symptom disorders”, ha cominciato a diffondersi l’idea in merito alla quale non sia sufficiente una diagnosi legata meramente agli organi, ma che il problema debba essere contestualizzato alla salute psicofisica del paziente annessa a una dovuta analisi psicosociale. In questo modo è possibile ottenere un quadro più completo dell’individuo, del suo disagio e della relativa natura.

Le conseguenze sulla psiche di una pandemia globale

Il numero di riproduzione di base, noto anche con il nome “R0”, indica quanti altri soggetti sani possa infettare in media una persona malata. Se è inferiore a 1 la pandemia può essere contenuta.

Uno studio riportato nel “Journal of Theoretical Biology” del 21 marzo 2021, tuttavia, ha stimato che nei paesi Europei, durante le fasi iniziali ove non vi era alcuna restrizione, l’R0 sia arrivato a 8.

Con quel numero, ammettendo sia sufficiente un solo giorno perché una persona ne infetti altre otto, in meno di nove giorni si potrebbe contagiare tutta la popolazione Europea. Conseguentemente, i governi sono stati costretti a richiedere l’isolamento forzato dei propri cittadini a casa mentre visitatori e turisti dovevano sottoporsi a un’autoquarantena di 14 giorni.

Come ci spiega la Dottoressa Ilaria Giannoni psicologa a Firenze, tutto ciò ha portato a un’inevitabile risposta di stress psicologico nella popolazione, per diverse ragioni; dal banale reperimento delle informazioni, spesso basato su fonti non attendibili e alimentando uno stato preesistente di preoccupazione, fino alla minaccia data dalla contrazione del virus, per non parlare dell’impossibilità di abbracciare per interi mesi i propri cari.

L’ansia da pandemia, quindi, è un insieme altamente concentrato di alterazioni psicologiche che comprende la sfera emotiva personale, sociale e di salute. Può verificarsi a seguito di un trauma dato dallo sconvolgimento repentino delle proprie abitudini, oppure a causa delle troppe preoccupazioni e responsabilità delle quali farsi carico durante un periodo di crisi. Il rischio che si trasformi in qualcosa di più grave è alto considerando l’entità delle cause e il contesto in cui si verifica e non si tratta solo dei soggetti più fragili, ma di tutte le persone.

Visite psicologiche post-pandemia

La pandemia globale iniziata a fine del 2019 a messo a dura prova, per non dire in ginocchio, l’intero mondo e solamente con l’inizio della somministrazione vaccinale si è iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel. Ma non è sufficiente agire in un solo fronte; vi sono numerosi detriti lasciati dallo tsunami chiamato coronavirus. Ciò che è stato distrutto deve essere ricostruito, compresa la salute psicofisica e sociale delle persone.

È importante valutare le conseguenze di una “risposta immunitaria sociale” senza precedenti, ma per la quale c’è la certezza abbia avuto serie ripercussioni sull’emotività e sullo stato mentale di ognuno; non solo sul personale sanitario, il quale ha dovuto combattere la costante e imminente minaccia di morte lavorando a stretto contatto con i pazienti, quanto più su ogni persona che, in qualche modo, non riesca a percepire la normalità pre-pandemia.

Rivolgersi ad uno psicologo è sempre necessario e questa situazione non ha fatto altro che aggiungere una ragione in più per una visita specialistica, dove agire con tempestività è cruciale per impedire il peggioramento di una situazione già seria.